I Mulini ad acqua di Paliano

I Mulini ad acqua di Paliano

CULTURA:

Il mulino occupa nella storia medievale un posto d’eccezione, è infatti la sola vera macchina di questa lunga epoca che precede l’era della meccanizzazione aperta in occidente dalla rivoluzione industriale nel XVIII secolo. Il mulino ad acqua è inoltre stato lo strumento che ha avuto un ruolo fondamentale nella prima grande rivoluzione energetica del Medioevo europeo.

Già inventati ed applicati dai greci e dai romani, ma limitatamente diffusi, i mulini idraulici sono ancora molto rari nei secoli VIII e IX d.C. Solo dopo il Mille, contemporaneamente alla ripresa economica in Europa, anche i mulini ad acqua diventano più numerosi e, poco a poco, si sostituiscono, con opportune trasformazioni, a tutte le macchine a maneggio (vale a dire quelle sulle quali si agiva prima con la forza delle mani) inventate dai romani.

Il territorio di Paliano è stato, probabilmente sin dal basso Medioevo, uno dei più importanti poli molitori dell’Alta Valle del Sacco; l’installazione di diversi mulini, facilitata dalla abbondante disponibilità idrica, testimonia infatti un ruolo importantissimo nell’economia di questa zona a vocazione cerealicola.

Ben sette mulini si succedevano lungo il Fosso delle Mole (così chiamato in ragione del loro numero); partendo in alto, dal confine con il territorio di Serrone: la Mola da Capo, appartenuta alla famiglia Colonna, detta così perché era la prima a macinare con le acque provenienti dallo scolo di due fossi e raccolte in un ‘bottaccio’, che regolava anche il flusso idrico costante per il corretto funzionamento degli altri mulini più a valle; Mola Lagni ; Mola Prato ; Mola Santa Maria ; Mola Arbuccio ; Mola da Pedi ; Mola Bellagamba, al confine con il territorio di Anagni. Si trattava di mulini a ruota idraulica orizzontale, che utilizzavano una tecnologia piuttosto semplice, in cui le ruote motrici, situate in un locale interrato, erano azionate da un getto d’acqua proveniente da una vasca di accumulo posta ad un livello superiore.

Un altro mulino idraulico doveva trovarsi lungo il fosso della Cupiccia ed era chiamato Mola del Casale; un altro lungo il fosso del Castellaccio e un altro ancora lungo il fosso di Vallerano o Mazzasbirri. Il Molendino di Vallerano, in particolare,appartenne all’Ordine templare, almeno fino al 1295, anno in cui fu ceduto dall’ultimo Gran Maestro Jacques de Molay a papa Bonifacio VIII, assieme al castello di Valranieri e alla chiesa di Sant’Ippolito, sempre in territorio di Paliano. Il 31 gennaio 1304, il mulino risulta concesso in affitto da papa Benedetto XI dietro corresponsione di 20 fiorini d’oro annui.

Situato tra le località di Colle Rampo e Polledrara, a circa 6 km da Paliano, vi è infine, il mulino fortificato di Mola de’ Piscoli. Originariamente questo complesso era costituito solamente da una torre di avvistamento del XIII secolo, facente parte di un sistema semaforico di presidio militare, a controllo delle vie Prenestina e Latina; in seguito vennero aggiunte le altre opere di difesa ed annessi vari. La torre venne isolata con un fossato, fornito di acqua tramite un canale artificiale di collegamento al Fiume Sacco, e da un recinto murario delimitante un cortile, al cui interno aderiscono corpi di fabbricati ad uso della servitù e per il ricovero del grano ed olio; esternamente gli edifici delle mole. Le macine in pietra dei mulini erano azionate dall’acqua proveniente dal canale-fossato, che veniva reimmessa nel fiume. Nel Medioevo, la Mola dei Piscoli era il passaggio obbligato per entrare in territorio palianese da sud, dato che quel punto del fiume Sacco ne indicava il confine. Appartenuta alla famiglia Colonna e nel 1537 ad un certo Giovanni Piscoli, da cui prese il nome, ancora nel 1801, i mulini e le stanze adibite a fienile, stalla e magazzino, sono riportate negli elenchi delle entrate dei Colonna di Paliano.

Dal 2011 tutto il complesso, considerato di valenza storico-architettonica e paesaggistica, è parte integrante del “Monumento Naturale Selva di Paliano Mola dei Piscoli”.

I proprietari dei mulini idraulici erano soprattutto le famiglie abbienti e gli enti ecclesiastici. Per realizzare tali manufatti era infatti necessario investire ingenti capitali. Era costoso, soprattutto, il trasporto delle macine di pietra, pesantissime, che dalle montagne dovevano raggiungere le località in pianura. Per rientrare da tali spese, il signore, nobile o ecclesiastico, imponeva al contadino il pagamento del diritto di molitura. Per questo motivo il mulino ad acqua fu per molto tempo osteggiato dalle classi meno abbienti, che preferirono continuare a far uso del molinello a mano.

L’affermarsi del mulino idraulico, sinché esso fu impiegato soprattutto per macinare il grano, non fu il risultato delle leggi economiche che, nel mondo moderno, governano la continua introduzione di tecnologie che, con crescente investimento di capitali, fanno aumentare la produttività del lavoro; fu invece il risultato di un’imposizione del potere feudale che era un potere integrato, politico e giuridico, economico, giudiziario e militare. Intorno al mulino ad acqua si intrecciarono lotte sociali estremamente drammatiche, quando i signori ne imponevano l’uso ai contadini i quali, di nascosto, macinavano a mano. I soldati perquisivano le abitazioni, sequestravano le macine, le lasciavano soltanto ai vecchi e invalidi che non potevano recarsi dal mugnaio. Un attrezzo che poteva far risparmiare molta fatica, imposto con la coercizione, veniva odiato come simbolo del potere e della violenza.

Se si eccettuano i miglioramenti nella dimensione delle pietre, la sostituzione delle parti in legno con materiali più resistenti (ferro e ghisa) e certi perfezionamenti meccanici, la struttura generale di un mulino del XII secolo non differisce molto da quella di uno del XVII e XVIII secolo. Costruiti in legno (olmo o quercia), i mulini ad acqua medievali sono per lo più scomparsi. Se pur ci rimane qualche isolata struttura in pietra o mulini fortificati, ci mancano i meccanismi, gli ingranaggi che sono andati perduti o sono stati completamente rinnovati nel corso dei secoli.

Immagini di copertina:

piante della Mola da Capo e della Mola de’ Piscoli tratte dal catasto Antinori del 1801

Mola da Capo:

A. Rifolta delle acque che si ricevono dallo scolo di due fossi, uno detto del Piglio, e l’altro detto del Serrone.

B. Muraglione di sostegno alle acque di detta Rifolta.

C. Cataratta e caduta delle acque alla Mola.

D. Cataratta che da l’esito alle acque superflue.

E. Ponticello

F. Fosso che scorre alle Moli inferiori dei Particolari.

G. Fabbricato della Mola…

Mola detta de’ Piscoli:

AB. Mola detta la Mola Grande formata in un grottone di scoglio naturale […] sopra la Mola s’ inalzano i Muri che formano le due Camere AB. Alla Camera A coperta a tetto che serva a uso di Fienile vi è la porta d’ingresso […] da detto Fienile per via di porta […] si passa all’altra Camera B ad uso di Stalla…

C. Camera terrena di antico fabbricato detto lo Stallone…

D. Ponte…

E. Forno al di fuori, contiguo al fabbricato.

F. Scala esterna per la quale si ascende alla piccola camera G ad uso di Cucina…

H. Camera terrena coperta a tetto, ove rimane la seconda Macina detta la Moletta…

I. Torrione antico, voto da cima a fondo, senza palchi.

L. Vestigie di antico Muro.

M. Sito, o sia Spiazzo circondato da antichi muri, lungo i quali rimangono le forme che portano le acque alle soscritte Mole.

N. Portone e Ponte che da l’ingresso al suddetto Spiazzo…

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