CULTURA:
Sempre più spesso leggiamo sui giornali o vediamo alla televisione storie e fatti di cronaca relativi alla violenza di genere e in particolare ai femminicidi. Nel 2021 ne sono stati registrati 118 di cui 102 in ambito familiare-affettivo. L’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne, chiarisce: E’ “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Questi fatti risultano ancora più raccapriccianti se riferiti al dominio maschile nella sfera familiare e, comunque e sempre, alla spietata volontà altrui che priva arbitrariamente una persona del legittimo diritto di autonomia e di libertà. E chissà quanti episodi non vengono alla luce, per motivi diversi, non ultimo quello della paura di ritorsioni.
Quando incontriamo nella Divina Commedia personaggi femminili, vittime della violenza di genere, ci sembra che settecento anni non siano bastati a favorire una cultura di rispetto della dignità della persona ed a consentire una comprovata e stabile emancipazione.
Francesca, ancora unita a Paolo, ci appare nel quinto canto dell’Inferno, Pia dei Tolomei nel quinto del Purgatorio e Piccarda Donati nel terzo del Paradiso. Sembrano figure, personaggi inventati da Dante e non persone vive e vere che hanno vissuto realmente queste tragedie, anche di morte fisica, per due di esse, inflitta dai rispettivi mariti o di violenza inenarrabile dal proprio fratello per Piccarda (strappata giovinetta dal convento). Sentire raccontare dalle protagoniste stesse (e non da un inviato speciale da Rimini o dalla Maremma o da Firenze) certe vicende provoca un grande coinvolgimento in chi ascolta. Ma nei canti della Commedia si va anche al di là del racconto delle protagoniste. Dante è capace di rivelare, con particolare tessitura e con alta espressione ritmica, i misteri più intimi e profondi delle anime delle tre donne nei confronti della storia reale di cui le cronache di allora dicono poco. Da aggiungere che le figure femminili incontrate da Dante nel suo viaggio non sono molte, forse perché le donne non avevano una vita sociale particolarmente attiva e, perciò, ben poco si sapeva di quello che succedeva loro. L’unica testimonianza, riguardo alla loro identità, sembra essere il racconto di Dante.
Tre donne del mondo cortese che in modo diverso e con destini diversi ripropongono al poeta il tema dell’amore dal loro punto di vista e le conseguenze derivanti. Dante sviluppa l’intera riflessione su questo tema a partire dalla passione carnale e peccaminosa fino ad arrivare alla più alta concezione ideale e religiosa dell’amore.
L’autore della Commedia salva questi personaggi dal silenzio, dalla dimenticanza, dall’oscurità e dà loro una voce che li rende immortali e li fa amare da tutti. Le loro figure si fissano per sempre nella mente e nel cuore del lettore di ogni tempo e paese.
Ritengo utile sottolineare, inoltre, che queste figure dantesche sono state, nei secoli, fonte d’ispirazione per moltissimi artisti. Personalmente mi sono accorto dell’attenzione e dell’interesse che suscita la lettura di Dante se è accompagnata anche dall’illustrazione dei vari personaggi e ambienti dei tre regni con le relative immagini di incisori, miniaturisti, pittori… Essi, diversamente ma efficacemente, leggono, interpretano e restituiscono Dante in ragione del loro talento artistico, delle loro tecniche e della cultura di appartenenza.
Diamo prima un breve profilo e poi stabiliamo un confronto delle tre donne: per sottolineare le affinità e le differenze fra di loro. Importante sarà vedere anche come e quanto queste figure possano aver segnato le tappe fondamentali della crescita e dell’evoluzione di Dante. Il poeta ha compiuto nell’incontro con Francesca da Rimini, Pia dei Tolomei e Piccarda Donati un percorso, uno sviluppo, un’azione di miglioramento, con esperienze sempre nuove e più ricche nel lungo viaggio ultraterreno. Lo chiamiamo, con termine che non mi garba molto ma ormai usatissimo, work in progress.
Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, andò sposa a Giovanni Malatesta detto Gianciotto, zoppo e deforme, signore di Rimini. Si trattava di un matrimonio dettato solo da ragioni politiche: portare la pace e la stabilità in Romagna, collegando le due famiglie più potenti di essa. Innamoratasi poi Francesca di Paolo, fratello di Gianciotto, da questi furono sorpresi insieme e trucidati, pare dopo il 1283.
Pia dei Tolomei. Si sa poco di lei. Senese e sposa di Nello dei Pannocchieschi, signore del Castello della Pietra in Maremma e podestà di Volterra e di Lucca. Vittima non sappiamo bene se della gelosia da parte del marito o per infedeltà di lei oppure per brama di nuove nozze del marito, che l’avrebbe fatta uccidere, nel 1300, per sposarsi con Margherita Aldobrandeschi (sembra essere questa la versione dei fatti più accreditata).
Piccarda Donati. Figlia di Simone Donati e sorella di Forese e di Corso, grande facinoroso e capo della parte nera di Firenze. Giovinetta, pia e religiosissima, per farsi monaca entrò nel convento delle clarisse di Monticelli, nei dintorni di Firenze. Il fratello Corso, mentre era capitano e poi podestà a Bologna, tra il 1285 e 1288 venne a Firenze e, con un gruppo di faziosi e prepotenti, la rapì strappandola dal monastero per darla in sposa, per interessi politici, a Rossellino della Tosa, suo violento seguace. Non abbiamo documenti sicuri. Qualche cronista dell’epoca afferma che subito dopo il rapimento Piccarda “infermò e morì”. L’unico riferimento certo sono le meste parole che lei rivolge a Dante in Paradiso dove si incontrano: <Iddio si sa qual poi mia vita fusi> come dire: a seguito di questa violenza, Dio solo sa quale dovette essere poi la mia vita, nel contrasto fra quella da me scelta nelle <dolce chiostra> e quella nuova coniugale imposta da altri!
Le affinità. Dante rimase profondamente colpito dalle storie di sangue di queste tre donne, a lui contemporanee, che avevano vissuto drammi familiari dalle tinte fosche. Tutte e tre appartenevano al mondo di nobiltà e di cortesia di allora ed erano caratterizzate da fragilità, bellezza, delicatezza e gentilezza, tipiche dell’indole femminile. “Tutt’e tre, la dannata, la penitente e la beata, in vario modo subirono la violenza degli uomini e il poeta quasi le ripaga tracciandone il ritratto con mano lieve, amorosa, facendo sì che queste tre figure, piene di femminile gentilezza, ci rimangano scolpite nella memoria” (D. Provenzal).
Una prima analogia. Le tre donne sono reticenti: preferiscono cioè mantenere nel segreto del cuore quelle notizie e circostanze di vita e di morte che riguardano una materia molto personale e particolarmente delicata. “Tutte tre le cantiche hanno al principio episodi di cui è protagonista una donna, e in tutte e tre sul punto più drammatico si stende un velo di reticenza: <Quel giorno più non vi leggemmo avante>, dice Francesca, ardente ancora di amore. <Salsi colui...>, sospira la Pia; e Piccarda: <Iddio si sa…> con una trepidazione che le mozza le parole sulle labbra e le spenge la voce” (L. Pietrobono).
Un’altra analogia riguarda il modo garbato con cui Dante si pone di fronte alle tre anime ed esprime la sua partecipazione emotiva. Ai due amanti, Francesca e Paolo, esprime tutta la sua pietà e tristezza con l’ansia di conoscere la loro vicenda: “O anime affannate” oh anime tormentate: in vita dalla passione amorosa, e qui, nell’Inferno, dalla giustizia divina. A Pia dei Tolomei nemmeno chiede: sarà lo spirito purgante e premuroso a prevenire ogni richiesta. A Piccarda Donati, perché riveli la sua identità e il suo grado di beatitudine, si rivolge con parole ancora più rispettose come si conviene a chi è in Cielo: Oh spirito, creato per godere il bene, la felicità eterna che hai meritato, dimmi…Ma altrettanto gentile è il modo con cui le tre figure rispondono a Dante. Tutte e tre si dimostrano molto delicate e riguardose nel rivolgersi al pellegrino Dante, con quel tono con il quale sottolineano la loro femminilità. Francesca, con gentilezza, è pronta a narrare a Dante tutto ciò che le chiederà ed è disposta anche a pregare Dio (ma non può perché ormai è dannata!) affinché egli trovi quella pace e quella salvezza a lei negate per sempre. Pia dei Tolomei si rivolge spontaneamente a Dante con tenerezza, e poi con sollecitudine tutta femminile, anzi materna e con lievi, sospirate parole gli dice: “Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via”. In soli cinque versi la gentildonna senese dimostra la sua premura: chiede a Dante il favore di pregare per lei, che ha tanto sofferto, ma solo dopo essere tornato sulla terra e essersi riposato dalla fatica del lungo viaggio. Anche Piccarda Donati si rivolge a Dante, amico fiorentino, con grande bontà e premura. Luminosa e sorridente gli risponde: il sentimento di amore e di carità, che mi anima nei tuoi confronti, mi consente di appagare ogni tuo giusto desiderio di conoscere chi io sia.
Le differenze. Ogni personaggio femminile possiede caratteristiche tali da renderlo originale. Dante analizza questi suoi personaggi in profondità, ne rileva la complessità multiforme del contenuto sentimentale, si china ad osservare i più intimi movimenti del cuore. Dante condanna, compatisce, assolve i suoi personaggi e li chiama per nome.
Francesca. “Ispiratrice dell’episodio è la pietà; pietà per la passione fatale degli amanti di Rimini, pietà per la loro morte, pietà per la loro dannazione“ (V. Rossi). L’interpretazione romantica ha insistito troppo sulla travolgente passione e, insieme, sull’incapacità o impossibilità di Francesca di resisterle. Ma oggi si preferisce assistere ad un incontro di un’anima vinta dal peccato, Francesca, con un’anima che aspira a vincere le condizioni del peccato, Dante. “Francesca non è un’eroina, e nel ritrarla Dante insiste se mai sulla sua femminile debolezza e sul suo bisogno costante di giustificazione e di compatimento” (Sapegno). Francesca dice: questo è stato l’Amore per me. Paolo mi amò, io l’ho riamato. Peccammo insieme, morimmo insieme, espiamo insieme la colpa. Indivisi e inebriati nella felicità in terra, indivisi nel dolore e nella miseria per l’eternità! E mentre Francesca parla, Paolo accompagna il racconto con un disperato pianto, aggiungendo così un tocco dolorosamente umano. Il finale non ci sorprende. Dante, che ha assistito alla scena come spettatore e come attore, alla fine non resiste: <cade come corpo morto>, sviene, vinto proprio dall’intenso sentimento di pietà e di coinvolgimento al dramma delle due anime.
Pia dei Tolomei. Il breve racconto della gentildonna senesesisvela e si smorza nella soave dolcezza di un’anima che, con un velo di pietà e di malinconia, ricorda il mondo, la violenza e il tradimento subiti, il dolore e la morte. Non una parola di odio contro chi brutalmente la uccise, mostra solo pietà e preferisce piuttosto ricordare il marito non come un assassino ma come lo sposo che, prima di essere tale, le regalò l’anello di fidanzamento, gesto dolce e caro, come simbolo di indissolubile affetto. “Dalle sue labbra non esce una parola di odio verso colui, che solo sa della sua morte. Si direbbe quasi che lo ami ancora; con tanta compiacenza rievoca quei giorni felici degli sponsali. E’ un cuore di donna che conobbe anche la colpa, ed ora non conosce che la bontà” (L. Pietrobono).
Piccarda. Come Pia, anche Piccarda stende un velo caritatevole su coloro che l’hanno rapita con violenza dalle <dolce chiostra>. Neanche dice chi essi siano e tanto meno che a comandare quegli uomini facinorosi era stato il fratello Corso. Ma a Dante il suo riferimento a <Uomini poi, a mal più che a bene usi> cioè a uomini abituati più al male che al bene, gli richiama alla mentela Firenze che ben conosceva,città violenta, impietosa, faziosa e che, in precedenza e più volte, aveva condannato con un giudizio rapido e tagliente. Piccarda già in vita aveva voltate le spalle a questa Firenze, entrando nel convento, oasi di pace e di preghiera, al cui limite dovevano cessare tutti i rumori e le passioni del mondo per diventare prefigurazione e anticipazione della beatitudine celeste. Ma questa Firenze ormai, vista dall’alto dei cieli, è lontana e non c’è più posto per i sentimenti puramente umani e terreni: sdegno, risentimento, rancore e condanna. Anzi Piccarda mostra tanta compassione per quegli uomini che le hanno strappata la felicità della vita claustrale! E prega per essi e che Dio li perdoni! E’ questa la figura della Piccarda paradisiaca che Dante ha saputo delineare e poeticamente costruire.
Conclusione. “Dante, il poeta della volontà eroica, il poeta dall’animo che vince ogni battaglia, di quando in quando accarezza con la fantasia, disegna lieve e affettuoso queste fragili vittime della spietata volontà altrui, il cui fascino sta appunto nella loro fragilità, e nella forza d’amore con cui esse senza saperlo la superano” (U. Bosco).
Prof. Antonio Moretti