Caravaggio, Saraceni e le tre morti della Vergine

Caravaggio, Saraceni e le tre morti della Vergine

CULTURA:

Quando, nel 1606, Michelangelo Merisi (1571-1610), accusato di omicidio, partì per il suo tormentato esilio, Carlo Saraceni (1579-1620) ne ereditò commissioni e favore. Il pittore veneziano viene riconosciuro tra i primi seguaci del Caravaggio già da Giulio Mancini, che lo comprende nella “schola”, se pure “solo in parte”, insieme a Jusepe de Ribera, Spadarino, Cecco Boneri, Bartolomeo Manfredi. E fedele imitatore lo ritennero pure Giovanni Baglione e Giovan Pietro Bellori. Fu tra i pochi seguaci ad aver frequentato e conosciuto personalmente Caravaggio. Distintosi ben presto sulla scena romana per la colta abilità compositiva fatta di contaminazioni tra il lessico del Merisi, l’attraente esuberanza del colorismo veneto e la finitezza fiamminga, intorno al 1609 il Saraceni ricevette l’incarico per la realizzazione di un’opera particolarmente importante per la sua fortuna: una pala con la Morte della Vergine per la chiesa di Santa Maria della Scala a Roma. Il dipinto aveva il compito di sostituire quello di medesimo soggetto del Caravaggio che era stato rifiutato dal priore dei padri carmelitani della chiesa trasteverina perché giudicato troppo «realistico» e privo di ogni barlume di vita ultraterrena, celeste, per una cappella in cui venivano celebrate messe per i defunti.

Nel dipinto realizzato dal Caravaggio, la madre di Dio non appare adagiata tra ali di angeli e santi in prostrata adorazione, secondo i dettami dell’iconografia tradizionale, ma è attorniata dagli Apostoli piangenti, sotto un grande drappo rosso che da respiro teatrale al cupo e umile ambiente invaso dall’ombra ed è riversa su un disadorno catafalco; il volto è bello e per nulla sofferente ma che sembra piuttosto dolcemente addormentato; la mano sinistra ricade abbandonata verso lo spettatore; la destra poggia sul ventre, che appare gonfio. Probabilmente tutto ciò intendeva velare una simbologia: la Vergine, ritratta giovane e non vecchia, come era in realtà quando morì, è una figura simbolica della Chiesa; il ventre gonfio allude a Maria «piena di Grazia», sempre gravida della divina Grazia ovvero del corpo di Cristo. Attorno a lei gli apostoli, sopraffatti dal dolore ma illuminati dalla luce, si dispongono in modo da formare, con il braccio della Vergine, una croce impostata trasversalmente e sono gli umili testimoni di un evento che si compie nel quadro più misero e disadorno. Il Caravaggio si attiene all’iconografia di base della “morte-sonno” e ai personaggi essenziali, cui aggiunge la Maddalena, di origine iconografica trecentesca. Un dipinto profondamente religioso e cattolico, proiettato proprio verso l’offrire un’immagine della Chiesa come Madre Misericordiosa, secondo quella che era la sensibilità filippina del tempo, legata agli insegnamenti di San Filippo Neri. Ma se questo era il significato della rappresentazione, non fu capito o non si volle capirlo. La figura gonfia della Vergine fu considerata oltraggiosa e si mise in giro la diceria che il pittore avesse preso a modello addirittura una prostituta annegata nel Tevere.

Il Merisi era stato incaricato di realizzare la tela dal giurista Laerzio Cherubini, proprietario della cappella cui era destinata l’opera, nel giugno del 1601. Nessun documento superstite ci informa sul momento in cui l’opera fu portata a termine e consegnata, ma Caravaggio dovette lavorarci intorno al 1605-6, ben oltre la scadenza del contratto. Appena il dipinto fu posto sull’altare della chiesa trasteverina, fu subito tolto. Tuttavia il quadro suscitò un interesse tale da parte del panorama artistico intellettuale del tempo, che i pittori di Roma premettero perché fosse esposto al pubblico almeno per una settimana, nell’aprile del 1607, nel palazzo di Giovanni Magni, ambasciatore ducale presso la Santa Sede, con il divieto però di essere riprodotto, prima del suo trasferimento a Mantova alla corte del duca Vincenzo I Gonzaga. In seguito, attraverso tortuose vicende, passò al museo del Louvre.

Secondo quanto riporta il letterato Fioravante Martinelli (Roma ornata dall’Architettura, pittura e scultura,1559-1667) il Saraceni decise conseguentemente di dipingere una rappresentazione meno realistica rispetto a quella del Caravaggio e di realizzare un Transito della Vergine anziché una Morte della Vergine. Tuttavia, anche la sua prima prova, che mostrava gente in ginocchio e piena di stupore attorno a una Maria niente affatto morta, bensì seduta su una sedia in uno scenario molto più d’élite, di volte e pilastri, con lo sguardo rivolto al cielo e le mani giunte in preghiera, non piacque alla committenza, sicché il pittore si vide costretto a idearne una seconda versione, che risultò sostanzialmente uguale alla prima, ma con l’aggiunta, per non lasciar dubbi sull’imminente assunzione, di un’orchestra celebrativa di putti, naturalmente non nudi, che turbinavano in cielo portati su nuvole brandendo arpe, violini, rose. Solo allora i carmelitani scalzi furono contenti. Nel dipinto di Saraceni che decisero di tenere, Maria non era ancora morta, ma sedeva su un trono a forma di letto ed era già in viaggio. Era qualcosa in cui c’era dell’ottimismo. Qualcosa che faceva sentir bene la gente di fronte alla morte. Qualcosa di completamente diverso dalla ragazza morta di Caravaggio nel suo abito rosso.

Mentre della seconda versione non sono note repliche d’autore, la prima, oggi conservata al Metropolitan Museum of Art di New York, è stata più volte ripresa dal Saraceni, ma anche da attenti copisti di bottega e non. Quest’ultimo fenomeno testimonia la fortuna che dovette incontrare l’opera del pittore veneziano all’epoca.

Immagini di copertna:

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine, 1605. Parigi, Musée du Louvre.

Carlo Saraceni, La Vergine in Trono, 1610ca. New York, The Metropolitan Museum of Art.

Carlo Saraceni, Transito della Vergine, 1610-1612. Roma, Santa Maria della Scala, cappella di Laerzio Cherubini.

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