Prefazione a “La memoria. Racconti della Valle del Sacco”

Prefazione a “La memoria. Racconti della Valle del Sacco”

CULTURA

Pubblichiamo la Prefazione del Prof. Antonio Moretti al libro di Elena Scarfagna Rossi dal titolo “La memoria. Racconti della Valle del Sacco”, un testo che ripercorre con racconti, aneddoti e storie un mondo rurale del quale cominciano a sbiadirsi anche i ricordi.

“Non ritengo necessaria una prefazione al testo nel significato classico della parola: illustrare le origini, chiarire i motivi, le intenzioni, lo scopo e le finalità che hanno suggerito questa pubblicazione. L’introduzione dell’autrice è estremamente chiara e pertinente su questi punti. Ritengo utile piuttosto qualche elemento di giudizio. A cominciare dal titolo “La memoria”. E poi: gli ambienti e l’atmosfera che vi si respira, i personaggi, la materia e i contenuti, la forma o l’espressione nei racconti.               

La memoria: è l’elemento di comunicazione, comprensione e partecipazione. Con essa risaliamo alle origini e scopriamo o riscopriamo la nostra identità, recuperiamo la nostra essenza, il contatto più autentico con noi stessi, ci riappropriamo di ciò che è nostro. Il passato, prossimo o remoto, attraverso la memoria, diventa un presente permanente che ci fa essere ciò che siamo. La memoria è la trama, il filo conduttore nel senso che ci conduce lungo tutto l’arco della nostra esistenza. Le storie di questo libro non hanno una trama perché sono esse stesse trama che unisce  la persona all’ambiente in cui è nata, in cui è cresciuta, alla famiglia, al villaggio, alle altre persone, all’aria respirata. Attraverso la memoria si sviluppa la nostra storia, prende forma la nostra vicenda umana, acquista significato la nostra vita. E anche un episodio, apparentemente insignificante, che ha riguardato un narratore qualsiasi di queste pagine, per gli altri potrebbe essere un semplice riferimento di cronaca ma per lui diventa trama della sua storia, è suo, gli appartiene e basta. Il ricordo di quel fatto gli entra nella mente, nel cuore, nel corpo e per sempre.

Il merito più grande di Elena Scarfagna Rossi consiste nel fissare la memoria: passare dalla parola orale, pur sempre interessante e piacevole ma per sua natura volatile, destinata a sbiadire e  a morire, alla parola scritta con la quale da millenni si fissano, si definiscono anzi si plasmano le cose del mondo e le vicende dell’uomo. La memoria scritta è un’eredità attiva, provoca uno scambio continuo ed operoso fra chi legge e chi ha scritto. Diventa generativa di idee, sentimenti, emozioni. E l’autrice lo può fare perché, dotata di una naturale curiosità investigatrice, viaggia, scopre e gode della scoperta delle sue radici nei luoghi narrati e nella cultura locale. E già anni prima aveva dedicato la sua raccolta di poesie “Le vite contrarie” proprio al radicamento nella sua terra: “alle mie radici”.   In questo testo La memoria” vi è un altro genere di poesia, il racconto, con il quale Elena si dimostra capace di persuadere ed emozionare il lettore in modo altrettanto efficace.

Il tempo e l’ambiente di questi racconti, pur databili e riconducibili agli anni della seconda guerra mondiale  e a quelli immediatamente successivi, sembrano essersi fermati. Sono pagine di vita vissuta e rivissuta con nostalgia che fissano le persone in carne e ossa al tempo in cui sono vissute: all’infanzia, alla fanciullezza, alla giovinezza, alla maturità, alla vecchiaia. Ma le fissano anche allo spazio come attaccamento alla terra secca o vaporosa, alle piante produttive di frutti o intriganti, soffocanti, invadenti come i cinghiali in un orto, al casolare, con i suoi cantucci, fatto di sassi e con i muri sconnessi e le facciate slavate, alla stalla con le bestie, alla chiesetta solitaria, al convento accogliente, al campo seminato o lasciato a maggese, al prato prima odoroso poi rugginoso, alla vigna promettente, al bosco ombroso, alle colline dal profilo seducente, alle grotte buie usate per rifugi, alla fabbrica rumorosa e polverosa. Leggendo ci si riappropria lentamente, attraverso i ricordi, le sensazioni e le emozioni, dei borghi sospesi nel passato, dei paesi con le casucce addossate le une alle altre, delle pianure, con gli inverni rigidi, le primavere promettenti, le estati afose e talvolta avare e gli autunni tediosi. Di questi ambienti la narrazione si alimenta e si precisa in tanti particolari, recuperando: le cantine odorose di mosto, i tetti di ruggine con i camini fumanti, le finestrucce occhieggianti, i davanzali con le fanciulle sognanti, gli usci sempre aperti, i pianerottoli in penombra, i cortili soleggiati, i vicoli scoscesi, i selciati lucidi, le piazzette chiassose, le viuzze, i fontanili e i lavatoi, le pozzanghere, le bottegucce, le osterie e le taverne fumose, i viottoli polverosi, i sentieri tortuosi ma anche l’aria, il freddo, la neve, il vento di scirocco o di tramontana, il tepore, i sapori, i colori, le forme, i suoni, i rumori e ogni altro riferimento alla vita quotidiana e alla dimensione paesana. Ambienti spesso desolati come è il mondo della povera gente che vive di stenti, di fatica ma capace di vita schietta e non fittizia. In questa civiltà senza tempo e senza storia, in questi luoghi i ricordi, mai sopiti, riaffiorano nella mente e nel cuore provocando una sospensione spazio-temporale!

I personaggi.   I luoghi si animano di personaggi anzi di persone vive e autentiche che con i loro panni, volti, sguardi, gesti, portamenti, con il loro gruzzolo di sentimenti, di emozioni, di debolezze, di ansie e di speranze rivelano l’appartenenza a quel popolo della sana provincia ciociara o romana con tutto ciò che essa ha espresso nei secoli: la bontà generosa, la solidarietà gratuita, la moralità semplice e schietta, la resistenza alle intemperie della vita, l’operosità istintiva e naturale, l’abitudine all’impegno ma anche ad una vita di stenti impastata di fatica, l’amore e la fedeltà per il focolare che si porta sempre nel cuore anche quando si deve andar via da esso! E quando la casa crolla per un terremoto o per le bombe sembra crollare il mondo ma scatta l’ostinazione a ricostruirla, tutti insieme con le stesse mani callose, perché senza la casa, come sasso di ancoraggio, non c’è famiglia! Tutte cose che ormai non sembrano reggere alla sfida, all’ipocrisia e alla mediocrità nel nostro tempo. Attorno ai personaggi narranti si raccoglie tutto il paese, si forma il crocchio di massaie,  di comari e di altre persone che commentano, chiacchierano, compatiscono, malignano creando un’atmosfera corale.                                                                                                             

I contenuti della memoria.   Sono per lo più racconti semplici della vita di sempre e nelle forme più elementari, altri sono riferiti ad eventi eccezionali, quali la guerra. Comunque sempre coinvolgenti perché si tratta di una materia reale, densa di esperienze concrete per chi le ha vissute. In essi si avverte una certa dignità di fronte alle sciagure, alle debolezze di tutti i giorni, agli errori e agli orrori della guerra. E sempre si sente il sapore della vita, con il peso della sofferenza umana, del lavoro faticoso e mortificato, della lotta per buscarsi il pane quotidiano. Ogni racconto acquista valore di documento insostituibile di una vita che la storia ufficiale non considera. E’ la vita dei pastori, dei contadini, dei mezzadri, degli artigiani, degli operai, delle casalinghe di Paliano, Valmontone, Artena, Colleferro, Segni, Montelanico, Gavignano, Gorga, Anagni…Vita vera di gente vera anche se immersa in un’aura quasi favolosa, come una civiltà senza tempo e senza storia.

La forma e lo stile.  Per recuperare l’espressione e l’accento, talvolta intraducibile dei personaggi, bisognava trovare una soluzione linguistica adeguata, tra lingua nazionale e dialetto, capace di incorporare le battute e i pensieri, le sofferenze e le speranze della gente protagonista di questi racconti. Qui lo stile si misura dalla capacità di riprodurre sulla pagina la spontaneità del parlato, spesso con una prosa  ruvida e petrosa. Ancora più difficile quando si tratta di una cantilena triste e dolce che riceve un particolare tono proprio dalle cadenze e dai modi dialettali anzi da un’arcaicità dialettale. Ciò spiega perché scarseggia la grammatica: il linguaggio è scarno e l’andamento della narrazione è regolato da una sintassi elementare, povera perché, specchio della vita dei personaggi, aderisce all’intimo della materia. Elena, mai estranea anzi piuttosto coinvolta nella narrazione, osserva, fotografa e si risolve nei personaggi, lasciando che essi  vivano con i loro gesti, con le loro parole, con le lacrime o risate o sospiri e che raccontino la durezza della vita e la traducano  con il loro gergo approssimativo e colloquiale. Non si preoccupa  dell’elaborazione artistica ben convinta che le cose, i fatti, le situazioni vissute contano molto di più. E ancor meno si preoccupa di dare giudizi. Viene in mente la frase del Manzoni quando scrive: “Ci basti aver dei fatti da raccontare”. I fatti appunto, anche se espressi con una lingua impastata di forme e idiomi dialettali. 

Conclusione. Elena Scarfagna Rossi ha assunto due impegni:

  • Dare voce a chi finora non ne ha avuto. Io ho letto e riletto questi racconti. Riconosco per giustizia e in apprezzamento dei risultati e non per generosità nei suoi confronti che quell’impegno è stato assolto in pieno. Elena ha trovato ed espresso, attraverso le testimonianze di questo libro, la sua ispirazione più profonda nella sua terra e la sua terra ha trovato in Elena il suo cantore. La narrazione, non contaminata dall’emotività scomposta né da un distacco compiaciuto, in ogni pagina si espande e si precisa riscattando ogni elemento utile alla ricostruzione dei personaggi, dei tempi e dei luoghi.
  •  Far piantare il “<“Bosco della memoria“>”. Nobilissimo intento. Ma non basta la volontà di Elena per essere realizzato. Si pretende la collaborazione di tutti se tutti siamo convinti che “Gli alberi possono essere metafora della storia che si continua prendendo nutrimento dalla memoria per espandersi nelle nuove generazioni”. Torna ancora e sempre l’equazione: memoria uguale radici!

Prof. Antonio Moretti

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